Il proverbio “l’abito non fa il monaco” è di fatto un ottimo consiglio della tradizione popolare che invita a diffidare delle apparenze perché esse possono nascondere una verità ben diversa. Certo è che nella società dell’immagine nella quale viviamo (pur con innumerevoli storture e contraddizioni), le apparenze diventano, in qualche caso, sostanza.
Nel mondo digitale e nell’infinito universo dei vari prodotti e servizi che il web ci propone (o che noi proponiamo attraverso il web), l’immagine conta molto se, per immagine, intendiamo l’esperienza che l’utente web ha nel consultare un sito. Andando oltre al concetto di immagine, abbiamo già introdotto un ulteriore termine che racconta in modo più efficace un gesto che ormai compiamo decine (se non centinaia di volta al giorno): esperienza.
Ormai è chiaro che il mondo virtuale è diventato e sta diventando sempre di più una esperienza vera e propria. Senza scomodare alcuni traguardi che gli strumenti digitali possono offrire (pensiamo alla sanità digitale o alla telechirurgia), è evidente che gli standard richiesti dall’utente medio si stanno, ogni giorno, alzando. Se fino a quindici anni fa avere un sito web era, per una azienda o una pubblica amministrazione, come avere poco più che un “obbligatorio” indirizzo di casa o un biglietto da visita, oggi, la domanda di esperienza è diventata più esigente.
Se ci pensiamo, esiste una evidente differenza fra l’esperienza che ognuno di noi può avere nell’acquistare un prodotto/servizio da un sito strutturato e affidabile che rende la nostra esperienza positiva (alcuni siti di e – commerce: esempio che tutti conosciamo) e lo stupore di fronte ad un sito che viene mal visualizzato nel nostro smartphone o che non ci permette di compiere alcune operazioni da remoto. Potremmo azzardarci a coniare un nuovo termine per descrivere quello stupore che diventa impazienza e diffidenza nei confronti di una esperienza negativa in rapporto con l’esperienza positiva: “Web Divide Experience”.
Certamente il tema non è nuovo: da metà degli anni ’90 si è iniziato a ragionare di architettura dell’esperienza nella relazione utente – web. In grande sintesi potremmo dire che esistono numerose competenze specifiche riassumibili oggi nella figura del web designer che rende la U.I. positiva (User Interface, l’interfaccia con la quale l’utente si relazionerà) e la U.X. efficace (User Experience, esperienza utente).
La Piattaforma O1.0 tiene conto della U.I., della U.X. e naturalmente della sua funzione Responsive e cioè la capacità di essere visualizzata da qualsiasi dispositivo connesso. Naturalmente queste caratteristiche non sono un semplice make-up e, sebbene l’esperienza sia sempre un tratto soggettivo, fanno appello alle scienze cognitive.
Più in generale la Piattaforma O1.0 realizzata per Ordini e Collegi professionali è pensata per una esperienza dell’utente positiva perché ciò rende il rapporto con l’Ordine stesso ed i servizi messi a disposizione una esperienza altrettanto positiva, fidelizzando ulteriormente l’iscritto e “rendendogli la vita più semplice”.
L’iscritto, che vive continuamente il “Web Divide Experience”, ha la possibilità di relazionarsi con una interfaccia del portale dell’Ordine positiva e utile: ciò salda maggiormente il rapporto associativo – professionale e fa sí che collochi il proprio Ordine fra quelle pubbliche amministrazioni più attente e innovative.